Classica

Al Carnevale di Venezia l'aurora dell'operetta

Al Carnevale di Venezia l'aurora dell'operetta

Un pizzico di vivace brio parigino ravviva il Carnevale di Venezia, grazie ad una piccola ma preziosa produzione operettistica della Fondazione Bru Zane.

Si parla di operetta, e si pensa alle tante macchiette che Lecocq e Planquette inseriscono ne La fille de Madame Angot e Les cloches de Corneville. Si legge “Offenbach”, e subito rivivono le spassose parodie de Orphée aux enfers, od il frenetico cancan de La vie parisienne. L'operetta francese nasce con Hervé, vive il massimo splendore nella seconda metà del secolo XIX con Offenbach, trova il suo crepuscolo nel primo '900 con Messager e Christiné. Nel mezzo, una miriade di autori più o meno fortunati, che costruiscono pian piano la gran parte del repertorio lirico d'Oltre Alpe.

L'aurora dell'operetta francese

E' una comicità che non conosce barriere sociali. Testo e musica alla pari, l'operetta offre un divertimento dal tono sempre leggero e diretto, spesso ironico o surreale. Talvolta persino caustico, se si tratta di parodiare il teatro “serio” o di schernire mode e personaggi. Ai suoi esordi però non allineava certo decine di personaggi (l'Orphée passa la quarantina) limitandosi anzi – per colpa d'un decreto del 1807 che privilegiava i teatri imperiali – a presentare solo due, al massimo tre attori/cantanti. Niente balletti, niente cori, orchestra minima. Giusto quello che poteva andare in scena con poca spesa in piccole sale, come quelle che videro nascere le due “bouffonneries musicales” presentate il 12 gennaio dalla Fondazione Bru Zane nel pieno del Carnevale di Venezia 2018: Le compositeur toqué (1854) con testo e musica di Hervé, e Les deux aveugles (1855), musica di Offenbach e libretto di J. Moinaux.

Due mezz'ore di divertimento dal ritmo vorticoso

In scena dunque solo due tenori. In Offenbach impersonano i mendicanti Patachon e Giraffier, uno “ciecho dalla nassita” l'altro “ceco per un insidente”, come sta scritto nei loro cartelli. Sono però due imbroglioni che si contendono un buon posto per elemosinare. In Hervé sono Fignolet, un compositore “suonato” e bizzarro - pare si sbeffeggi la magniloquenza di un Berlioz - ed il suo irrefrenabile cameriere Séraphin, impegnati tra battute, doppi sensi e calembours nella presentazione d'una sinfonia intitolata La prise de Gigomar par les Intrus. In entrambi i casi, salace e stralunato umorismo, per uno spasso offerto a piene mani.

Ci vuol poco per divertirsi

Nella piccola sala del Palazzeto Bru Zane, gli interpreti dei due lavori sono Raphaël Brémard e Flannan Obé: attori/cantanti spigliati e brillanti, veri virtuosi della scena. Sono ben sostenuti dal pianoforte di Christophe Manien, ma si sente la mancanza di un'orchestra. Non solo per il suono, anche certe battute dei testi la reclamano. La spumeggiante regia è piena di simpatiche gags; al pari della minimale scenografia e dei sapidi costumi, la dobbiamo a Lola Kirchner. Anche qui, come alle Folies-Concertantes della Parigi d'un tempo, poca spesa ma impagabile